Istruzioni di volo, 2021
Museo Novecento, Firenze (FI)
A cura di Sergio Risaliti
«Esce tutto con le ali» e «Da padrone è il colore che mi indica questo ordine», sono parole di Chiara Gambirasio, spontanee e allo stesso tempo ponderate dopo lunga sedimentazione. L'ordine, peraltro, come l'essenziale, non è visibile agli occhi. L'armonia sì, ma l'ordine va cercato e incontrato con pazienza, facendo spazio, facendo vuoto. Dei lavori parla sempre come di creature viventi, che di lei si servono per nascere, consolidarsi e dissolversi sino ad arrivare al quasi niente di una traccia d'acquerello, alla levità di un'ombra o al coagulo di una macchia. I suoi materiali d'elezione sono il gesso e l'argilla, nella loro precarietà, fragilità, ma anche duttilità e malleabilità. Sono docili e sono cagionevoli come persone a rischio. Qualcuna si spezza, qualcun'altra si invola. Tutto è anti gravitazionale, soprattutto le opere che appoggia a terra. Forse stanno prendendo la rincorsa, stanno flettendo le gambe per saltare in alto, visionarie e arcaiche, quasi infantili nel tratto, oppure affilate, vettoriali, prelevate dalla geometria piana con esattezza e nitore di scontorno. Da un grande triangolo acuto, scriveva W. Kandinsky, diviso in sezioni uguali con la parte più piccola e acuta rivolta in alto: cosi si prospetta giustamente e in modo schematico la vita spirituale; l'intero triangolo si muove lentamente, quasi invisibilmente, con moto progressivo e ascendente (...). Per il padre dell'astrattismo moderno, però, il triangolo era associato ai suoni "pungenti" come il giallo squillante. Qui, invece, suonano mitezza, leggerezza, chiarori soffusi del primo mattino in primavera.
I triangoli di Chiara sono così, sono dardi acuminati e pieni di grazia: non si può procedere che per paradossi. Il colore pastello, delicatissimo, con cui impasta il gesso prima di modellarlo perché ne sia linfa e corpo, stempera l'acutezza pungente del vertice, ammorbidisce le linee del perimetro. Sui suoi supporti smagriti (le tavolette, per lei, ammansendo nel nome quelle che contennero decaloghi e divieti, ordini e leggi) Chiara dà vita a un bestiario fantastico, dove ciò che nell'immaginario comune si era accasato come aggressivo, sporco, inaddomesticabile e grufolante, cambia di segno senza gradualità, senza vie di mezzo. Così, un cinghiale decolla leggiadro verso il cielo, lanciato da un prato smeraldino di cui conserva il colore come fosse stelo, creatura vegetale.
Su un'altra un pesce diventa uccello, essere alato caro all'immaginario degli ibridi medievale, che assegnava agli animali dotati di ali il compito di fare attraversare i limes degli elementi all'anima.
Non basta una natura, intuì anche Charles Darwin, per oltrepassare acqua, terra, aria e fuoco, non bastano genere e specie, tassonomie classificatorie irrigidite entro il proprio habitat.
I monstra, i piccoli draghi alati, le creature prodigiose di Chiara nuotano, zampettano, saltano con la vitalità delle cavallette e volano con un'esuberanza metamorfica senza fine, mescolando nature, simbologia, potenzialità, promesse di divenire.
Si snoda nelle sue placide spire un serpente policromo, simbolo di rinnovamento per la sua capacità di cambiare pelle mentre cresce e sviluppa il cilindro del corpo. Impietrito e condannato dalla simbologia giudaico-cristiana del male, istigatore all'originario tra tutti i peccati degli uomini, qui se ne libera, muta epidermide, bisbiglia a Chiara ("dovevo farlo, dovevo", spiega) dell'uroboro, della ciclicità del tempo, dei ritorni e degli opposti coincidenti per cui ciò che uccide è ciò che salva, di spire di vita e sorrisi, guarigioni e rituali, di attorcigliamento di saperi sul bastone di Asclepio, di segni premonitori in terra del fulmine nel cielo, di lingua biforcuta e sibilante che parla lingue arcane e disvela, toglie veli a un mondo che riacquista incanto e incantesimo.
(Da Istruzioni di volo, di Cristina Muccioli)